Alla Bicocca di Milano si prepara un concorso in cui vengono richieste competenze giornalistiche ma non si pretendono giornalisti.
Sarebbe come dire che in un concorso per dentisti non si richiedessero candidati laureati in quella disciplina.
Sollevare per l’ennesima volta questo problema non vuol dire rassegnarsi al “mal comune mezzo gaudio”, né, tanto meno, difendere l’Ordine dei giornalisti che è adulto e vaccinato e, se vuole, sa benissimo cosa fare, né rinnovare le consuete invettive contro chi pretende leggi e specializzazioni in ogni settore pubblico, ma poi quando si arriva alla comunicazione, va bene tutto e il suo contrario.
Quanto accade o potrebbe accadere (ma dove sono i sindacati del settore?) oggi alla Bicocca è accaduto in passato e temo accadrà ancora in futuro in tante realtà pubbliche.
Per smettere di prenderci in giro, è inutile continuar a domandarsi se i signori (ormai un vero a proprio partito trasversale) che producono simili bandi di concorso sanno dell’esistenza della legge 150 del 2000.
Lo sanno bene quanto noi. Ma poiché nel sistema pubblico evidentemente la comunicazione è considerata attività superflua, ecco le riprove del valore zero di questa disciplina. Disciplina di cui peraltro ci si riempie la bocca nella relazioni, quando non la si invoca disperatamente e regolarmente l’indomani di ogni sconfitta elettorale.
Allora diciamolo ancora una volta: gli amministratori che ritengono di possedere il necessario carisma per non dotarsi di quegli strumenti di relazione-comunicazione necessari a dialogare con i cittadini, preparano già oggi la loro futura sconfitta elettorale.
Quei colleghi che piangono con un occhio e ridono con l’altro non solo non hanno capito che sta esaurendosi la stagione delle consulenze e degli incarichi, ma dovrebbero anche spiegarci quali vantaggi porta loro un simile andazzo.
La soluzione di questo problema è e rimane quella del riconoscimento professionale senza il quale difficilmente le cose cambieranno davvero.

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